Augusto Pellegrino, nato a Monopoli (Bari) il 15 maggio 1917, inquadrato nel reparto 33° Carristi di Parma, racconta qui le vicende che lo segnarono dalla battaglia di El Alamein, dove fu catturato dagli Alleati, ai tanti trasferimenti nei campi di prigionia, per naufragare a seguito dell'attacco e affondamento da parte di sottomarini tedeschi della nave Laconia, nell'Oceano Atlantico. Sopravvissuto, fu rimpatriato a Parma nell'aprile del '43 e dopo l'8 settembre scelse la strada della non collaborazione
Richiamato alle armi nel gennaio 1941, dopo un periodo di preparazione e di permanenza in Italia, il 24 gennaio 1942 raggiungeva in aereo la zona d'operazione dell'Africa settentrionale dove era stato destinato l'XI Battaglione Carristi cui faceva parte.
Quale Carrista, sempre dello stesso battaglione operante con la Divisione "Trieste", il 10 luglio 1942 dopo breve ed aspro combattimento veniva catturato prigioniero dopo che il suo carro e quegli dei suoi compagni erano stati distrutti.
Trasportato al Campo N. 308 (Alessandria d'Egitto) veniva matricolato al N. 342186 come risulta dall'allegata cartolina avviso che allora scrisse alla propria famiglia.
Il 20 stesso mese veniva trasferito al Campo N. 306 (Genefia - lungo il Canale di Suez) dove restava sino al 27 luglio data in cui veniva trasferito ancora al Campo N. 310 di Suez per essere imbarcato (29 luglio sul piroscafo "Laconia" diretto, a quanto si diceva, in Canadà).
Il 2/8/42 detto piroscafo faceva scalo ad Aden (Arabia) ed il 3/8 si dirigeva a Mombasa (Chenia) ove giungeva l'8/8 e ripartiva il 12 alla volta di Durbann (Sud Africa) ove giungeva il 19 stesso mese; dopo circa otto giorni di permanenza a Durbann e sempre con la medesima nave il mattino del 27/8 ripartiva alla volta di Città del Capo (sempre Sud Africa) ove giungeva il 30/8 e ne ripartiva il 2/9/42.
Dopo ben altri 10 giorni di navigazione ed all'altezza del Brasile la nave Laconia veniva silurata alle ore 20 del 12/9/42 dai sottomarini tedeschi colà in agguato.
Descrivere o narrare appe le pene raccapricianti del naufragio e del come si è ora salvi è cosa quasi impossibile e incredibile a tanti, purtroppo mi soffermarò a dire soltanto che fra 1840 prigionieri rinchiusi nelle stive di quella nave si salvarono soltanto la sesta parte, circa 370 in tutto e fra questi anche il sottoscritto.
Dopo ben cinque giorni di permanenza in mare la sera del 17 settembre 1942 veniva salvato dall'incrociatore "Gloire" della Marina Francese accorso subito sul posto da Dakar. Il 22 mattina si faceva scalo ancora a Dakar e la sera medesima si ripartiva alla volta di Casablanca (Marocco francese) ove si giungeva e ci si sbarcavano alle ore 14 del 25 settembre '42.
Avevamo fatto così quasi tutto il periplo dell'Africa e 60 giorni d'ininterrotta navigazione senza mettere piede a terra, rinchiusi e stivati in fondo a quelle casse da morto di ferro che altro non è la nave in tempo di guerra.
La sera stessa, ignudi, ammalati, deliranti e mezzi matti con treno ci avviarono alla volta della Tunisia ove, a Tunisi, si giunse la sera del 4 ottobre dopo aver attraversato il Marocco, l'Algeria e la Tunisia, qui, grazie all'iniziativa della Croce Rossa Italiana ed alla popolazione squisitamente Italiana del luogo ricevemmo le prime cure e potemmo pulirci e rivestirci, finalmente dopo tanto!
Il 13 stesso mese in terno ancora alla volta di Gabes e di qui in autocarro fino a Tripoli ove si giunse il 15 ottobre 1942.
Dovevamo rimpatriare subito, ma contrordini ci fermarono colà ed in Novembre fummo sottoposti all'interrogatorio della Commissione intterogatrice Prigionieri di guerra.
Tralasciano ancora la parentesi africana prolungatasi mercé l'opera nefaste di generali mussoliniani, i quali giunsero perfino a dichiarare che noialtri ex prigionieri e naufraghi restavamo in africa volontariamente (quante menzogne) l'8 marzo 1943 mercé l'interessamento del Generale Messe fummo rimpatriati tutti e dopo la prescritta contumacia inviati in licenza. Recatomi presso il Distretto di Bari cui appartenevo, mi fu risposto che di me non ne risultava nulla, anzi rche il Deposito 33° Carristi di Parma aveva emesso verbale di Irreperibilità e quindi ero considerato morto.
Il 2 aprile 1943 venni a Parma e la stessa risposta mi venne data dall'Ufficio matricola del Comando del suddetto Deposito. Intanto dopo un poì di giri fra Distretto e Deposito il 14 aprile fui preso in forza alla Compagnia Deposito e il 21 inviato ancora in licenza da ove rientrai il 27 maggio e destinato alla Compagnia Addestramento - Castelletto - Parma, ove rimase in servizio sino alla data dell'8 settembre 1943 data in cui scappava per sottrarsi alla cattura da parte dei tedeschi e si rifugiava presso la Famiglia Capelli Antonio di Marore S. Lazzaro Parmense (Via S. Eurosia).
Svestito il grigioverde ed indossati abiti civili rimase colà fino alla liberazione e precisamente fino al 1° settembre 1945 (refuso, intende 1944, Ndr) per venire ad abitare in via S. Chiara n. 6.
Solo, sconosciuto a tutta la popolazione parmense, con la famiglia al di là delle linee, privo di ogni risorsa materiale e morale, cosa avrei fatto? Darmi ai tedeschi? giammai piuttosto morire e farla finita una buona volta per sempre. Ma niente di tutto questo successe.
Sin dal 1938 per concorso ero impiegato nelle Ferrovie dello Stato e così dopo un mesetto di lavoro nei campi della Famiglia Capelli ripresi servizio in ferrovia in stazione di Parma.
Contro qualcuno il quale potrebbe dire che così facendo ho collaborato, rispondo subito di no. Feci il meno che potevo e non iscrissi né alla Repubblica né collaborai con i Tedeschi, lo spirito dei morti in atlantico del Laconia per colpa dei tedeschi mi impediva di aiutare questi dimostratisi nei nostri riguardi sempre vigliacchi e menzogneri.
Un mio fratello, Franco, anche lui rimasto isolato quassù come me ha accettato serenamente la morte piuttosto che servire i tedeschi (fucilato da quest'ultimi a Canzo, Como, la mattina del 13/4/45).
Il giorno 25 aprile all'arrivo delle truppe Alleate, veniva richiesto da una pattuglia di questi per essere di aiuto nella conoscenza delle strade, e mentre ritornava verso casa dopo aver assolto tale compito riceveva per sopra più una fucilata, che gli attraversava il polpaccio della gamba sinistra, raccolto da altri sopraggiunti veniva con autoambulanza ricoverato all'Ospedali Civile di Castelfranco Emilia.
Allego alla presente una dichiarazione del Comitato di Liberazione della Stazione di Parma che conferma di non aver collaborato ne aderito al pseudo governo repubblichino.